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Report vs Gucci, la nota dell’azienda: “Ci dissociamo”. La controrisposta di Milena Gabanelli: “Dovrebbero ringraziarci”

Gucci diventa protagonista della puntata prenatalizia di Report: nell’inchiesta di Sabrina Giannini, il sommerso del lavoro in nero che strangola gli artigiani italiani in nome del profitto.

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Report Vs Gucci, la controrisposta di Milena Gabanelli: “Dovrebbero ringraziarci”

22 Dicembre ore 15.45

Altrettanto dura e circostanziata è stata la controrisposta di Milena Gabanelli, giornalista conduttrice di Report, alla dichiarazione di Gucci dopo l’inchiesta di Sabrina Giannini “Va di Lusso” che ha scoperchiato alcuni segreti sulla filiera produttiva dell’azienda fiorentina: in una lunga nota pubblicata sul Corriere della Sera, la giornalista ha ribattuto punto per punto alle obiezioni sollevate da Gucci dopo il servizio.

Più che dissociarsi Gucci dovrebbe ringraziarci, per aver documentato e denunciato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori.
È gravissima e lesiva della libertà di espressione e di denuncia la dichiarazione di Gucci «accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola – sabotando i sistemi di controllo in essere”.
È uno stravolgimento della realtà visto che Report non ha affatto “sabotato” ma “osservato” il metodo delle ispezioni “farsa”.
Noi abbiamo fatto solo il nostro mestiere. La truffa semmai è ai danni degli artigiani, del Made in Italy, della legalità e dei clienti. Forse non hanno compreso che la SA8000 (la certificazione di responsabilità sociale di cui si fregiano) deve decidere se continuare a certificarli. Che sia un marchio del lusso a mettere in seria discussione la validità della SA8000 è paradossale (ricordiamo che la Nike fu scoperta a far cucire palloni da bambini, ma costavano un dollaro).

Cosa poi intenda per laboratori “selezionati” dovrebbe spiegarcelo, visto che li abbiamo filmati (appunto) con le telecamere nascoste e monitorati per mesi. Uno di questi in particolare è subforniture di una società (Garpe) di proprietà della stessa Gucci, quindi non può neppur dire che la colpa è dei fornitori di primo livello (anche perché la certificazione gli impone verifiche). Inoltre se per Gucci è davvero tutto normale”, spieghi perché non vuole che le aziende subfornitrici siano intestate a persone di nazionalità cinese.

La giornalista ha sottolineato comunque come i tempi televisivi abbiano ristretto per necessità gli esempi mostrati nel servizio di Sabrina Giannini:

Comunque abbiamo ore di registrato e molti più esempi di quanti mostrati (noi abbiamo anche limiti di tempo per la messa in onda) che mettiamo a disposizione della magistratura qualora si attivasse per accertare le responsabilità di un sistema illegale che origina dalla manodopera sottopagata e che, ricordiamo, una sentenza storica a Forlì estese ai committenti dei cinesi.

Milena Gabanelli ci ha tenuto anche a sottolineare come la richiesta di interviste e contraddittorio fosse stata fatta, ma dall’azienda avessero preferito declinare ogni risposta (come vi avevamo segnalato nel nostro racconto della vicenda):

Sul tema dei controlli a Gucci è stata fatta richiesta scritta di intervista, ma hanno preferito declinare. La sottoscritta ha anche posto una domanda pertinente, sempre per iscritto: «A quanto ammonta il Made in Italy che viene fatturato in Italia e quanto esportato alla Luxury Goods (Svizzera) o comunque all’estero». La loro risposta è stata: «Il dato non è pubblico». Certo è meglio che non si sappia fino a che punto convenga all’Italia essere una “colonia” francese che non deve andare in Cina per produrre a basso costo il prestigioso “Made in Italy” grazie ai mancati controlli e ai prezzi sotto il limite che stanno riducendo alla fame i “maestri artigiani”, come li pubblicizza Gucci.

Via | Corriere

(a.g.)

Report vs Gucci, la nota dell’azienda: “Ci dissociamo”.

22 Dicembre ore 15.30

È arrivata nella mattinata la nota di Gucci dopo il servizio inchiesta di Sabrina Giannini di Report andato in onda ieri 21 Dicembre 2014: dall’azienda di pelletteria fiorentina la replica è stata durissima e sulla difensiva:

Gucci si dissocia nel modo più assoluto dai contenuti e dalla forma del servizio mandato in onda domenica 21 dicembre da Report. Telecamere nascoste o utilizzate in maniera inappropriata, solo in aziende selezionate ad arte da Report (3 laboratori su 576) non sono testimonianza della nostra realtà.

Gucci ribadisce fortemente la correttezza del proprio operato impegnandosi a rendere sempre più efficaci le azioni conseguenti alle ispezioni, che saranno sempre più numerose. Quanto alla signora Gabanelli, non ha mai posto a Gucci alcuna domanda pertinente su quanto da cinque mesi stava girando.

Ad essere tirato in ballo è naturalmente l’artigiano fiorentino Aroldo Guidotti che per primo aveva scritto a Report segnalando la particolarità del sistema produttivo di Gucci: dall’azienda è arrivata la spiegazione sul suo ruolo all’interno della filiera. L’artigiano, è emerso nel servizio, si era comunque autodenunciato da solo per portare alla luce le irregolarità che venivano richieste (e “imposte”) ai fornitori.

Il signor Guidotti, attraverso la sua società Mondo Libero, ha contribuito da metà 2013 al fatturato degli accessori Gucci per lo 0,19% dell’intera produzione. Negli ultimi mesi, Mondo Libero ha subito diversi controlli, anche notturni, a seguito dei quali sono emerse irregolarità relative all’assunzione del personale. Gucci ha chiesto la regolarizzazione di tali situazioni e Mondo Libero ha fornito evidenza che tali irregolarità erano state affrontate e per la maggior parte risolte.

Per quanto riguarda l’apparente titubanza dell’ispettore ripreso a telecamere nascoste, si ricorda che le ispezioni avvengono in due parti: la prima è di controllo documentale e la seconda di azione. Le riprese televisive sono focalizzate sulla prima parte. Ricordiamo altresì che gli ispettori non hanno poteri coercitivi immediati, ma di audit. E proprio l’audit ha evidenziato irregolarità che sono state risolte.

Gucci ha anche una contestazione anche sul sottolineato divario tra i 24 euro pagati all’artigiano in produzione gli 830 euro del prodotto finito in negozio:

Report compara in maniera errata il prezzo di una borsa al pubblico con il costo di una singola fase di lavorazione. I 24 euro citati dal servizio si riferiscono solo all’assemblaggio parziale e non considerano minimamente, ad esempio, il costo della pelle, il costo del taglio, quello degli accessori, il confezionamento, la spedizione e tutto quanto necessario a rendere la borsa disponibile in negozio, fattori che moltiplicano fino a 25 volte quel numero.

Via | Il Fatto Quotidiano

(a.g.)

Report vs Gucci: l’inchiesta sul finto Made in Italy delle celebri borse

21 Dicembre 2014

La puntata del 21 Dicembre 2014 di Report ha indubbiamente aperto gli occhi sulla realtà produttiva del Made In Italy sul suolo italiano, precisamente nel distretto attorno alla città di Firenze che è sede di celebri marchi di pelletteria e moda. Uno fra tutti è Gucci, storica casa di moda italiana di borse di lusso che è facile vedere al braccio di moltissime celebrità e che sono spesso in cima alle wishlist delle amanti della moda.

Cosa si cela dietro la produzione delle celebri borse Gucci, veri beni di lusso con prezzi che partono da oltre 800 euro a borsa? Un pozzo di lavoro nero: l’artigiano italiano Aroldo Guidotti ha contattato nel giugno scorso Report con una mail per accennare quali fossero i metodi della filiera produttiva delle borse Gucci e quello che è emerso dall’inchiesta di Sabrina Giannini, durata cinque mesi, è il sommerso dei subappalti ai cinesi e l’evasione fiscale che circonda la cucitura e l’assemblaggio delle borse Gucci.

[img src=”https://media.fashionblog.it/4/4fc/106217124.jpg” alt=”Westfield Sydney Shopping Complex Launches Stage One” height=”407″ title=”Westfield Sydney Shopping Complex Launches Stage One” class=”aligncenter size-full wp-image-186604″]

Per una borsa di 830 euro, classica delle linee Gucci, il lavoro dell’artigiano pellettiere viene pagato 24 euro. Lo rivela lo stesso Aroldo Guidotti, artigiano toscano, che ne fa assemblaggio e tinta.

Aroldo Guidotti: Questa è una borsa da 31 euro viene pagata 24. Manca un 30%.
Sabrina Giannini: A chi resta in tasca questo 30%?
Aroldo Guidotti: Questo non…

Un’altra artigiana, schermata in volto, ha svelato le metodologie di Gucci nei confronti della sua azienda:

Ci danno il minimo per campare e pagare gli operai quando si riesce a farlo. Su una borsa di 33-34 euro, io guadagno niente. Se ci dessero 2-3 euro in più a borsa, ci basterebbero per risollevarci.

Aroldo Guidotti ha spiegato come mai ha deciso di parlare pubblicamente di questa filiera produttiva di Gucci:

Questi 3 euro… se uno fa 1000 borse, son 3000 euro al mese. C’ho già dei problemini con Equitalia. Quando mi hanno fornito una borsa sottopagata di 10 euro io ho messo in cassaintegrazione le persone. L’alternativa era chiudere o rimanere dentro per dimostrare che c’è questo sistema e viene usato anche da Gucci. All’interno dell’azienda ci deve essere il prestanome italiano, che tiene i contatti con l’azienda e i fornitori. Un paravento.

Il lavoro subappaltato agli operai cinesi per la produzione del Made In Italy è così strutturato: iniziano alle 9 e finiscono la sera alle 23. 14 ore di lavoro. L’unico sistema per far fronte alle commesse di Gucci è il lavoro intenso ed è quindi il sistema dei cinesi: evadono 10 ore al giorno per dipendente, che sono assunti part-time con un contratto di 4 ore al giorno. Il sabato addirittura si evade completamente.

Tutto il lavoro che dovremmo fare noi lo danno ai cinesi.

La Toscana è una zona franca di molti marchi del lusso che non devono più delocalizzare in Cina ma riescono ad abbattere di molto i costi; questa manodopera cinese produce a prezzi bassissimi, strangolando gli artigiani italiani che sono quindi costretti a fare da prestanome a “caporali” cinesi che sfruttano gli operai fino a 14 ore di lavoro al giorno. L’inchiesta di Report ha anche posto l’attenzione sul ruolo degli ispettori del lavoro, della finanza e dell’Inps, che

devono essersi persi dentro l’enorme buco nero che crea un danno enorme all’occupazione e al lavoro. Si parla di concorrenza sleale, perché gli artigiani onesti vengono privati del lavoro.

Su Twitter è iniziata a montare l’indignazione con gli hashtag #gucCina, #Report e naturalmente #Gucci; sulla pagina Facebook del marchio sono iniziati a fiorire insulti e commenti senza esclusione di colpi.

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Anche se dichiara di avere coscienza sociale con la certificazione SA8000 sulla responsabilità sociale di tutta la filiera e negli ultimi 4 anni ha condotto circa 1300 verifiche l’anno presso i fornitori di primo e secondo livello, Gucci non ha specificato come come vengano fatte effettivamente queste verifiche. A rispondere è sempre l’artigiano Aroldo Guidotti presso gli ispettori del lavoro:

Sono controlli di routine. Io vi avevo parlato di certe cose, perché non fate controlli dopo le 10?
Noi ci muoviamo a seconda delle direttive dei vertici.

Ma Gucci come avrà risposto alle richieste di chiarimento di Report di fronte alla filiera produttiva? Dall’azienda fiorentina -pardon, ormai francese perché di proprietà del gruppo Kering guidato da François Henri Pinault- non hanno replicato in alcun modo, né con comunicati stampa né rilasciando interviste su richiesta.

Al momento non si hanno dichiarazioni ufficiali da parte di Gucci dopo l’inchiesta di Report presentata questa sera.

(a.g)

Report contro Gucci, le anticipazioni

Report torna a parlare di moda e stavolta tocca a Gucci: dopo l’inchiesta sui piumini Moncler che aveva sollevato un dibattito notevole nel mondo del lusso con i commenti di Stefano Gabbana e di Patrizio Bertelli di Prada, la trasmissione di Milena Gabanelli si è occupata di scavare a fondo sulla veridicità del made in Italy da parte di una delle più note e storiche aziende italiane.

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Nella puntata del 21 Dicembre 2014, l’inchiesta “Va di Lusso” di Report affronterà proprio il discorso del made in Italy in sofferenza, dovuto alla scelta imprenditoriale di concentrarsi maggiormente sui profitti invece che sulla salvaguardia della vera artigianalità italiana d’eccellenza che ha reso famosa la moda del nostro Paese in tutto il mondo.

L’inchiesta di Sabrina Giannini, che si era precedentemente occupata dell’argomento fashion luxury in un’inchiesta del 2007 denominata Schiavi del Lusso, si concentra stavolta su Gucci, il marchio di moda e pelletteria italiana fondato agli inizi del ‘900 a Firenze da Guccio Gucci e passato attraverso scandali, omicidi, vendite spettacolari a grandi gruppi finanziari (è di proprietà di Kering) e il recente addio di Frida Giannini quale direttore creativo.

Al netto del discorso di passerelle sfolgoranti o di celebrities che ne sfoggiano le creazioni, l’inchiesta su Gucci condotta ai Sabrina Giannini per Report ha indagato sul rilascio della certificazione SA8000, che regola la responsabilità sociale di un marchio di moda nella produzione e garantisce una filiera etica e controllata.

Nel corso dei 5 mesi dell’inchiesta, Report ha osservato il sistema dal di dentro grazie alla denuncia di un artigiano e alle informazioni raccolte dal suo “socio” cinese: a quanto pare le ispezioni per la garanzia di una produzione etica che vengono effettuate negli stabilimenti della filiera di Gucci non sono così sostenibili come vorrebbero far credere.

Sabrina Giannini: Ma quanto viene pagato il lavoro dell’artigiano pellettiere? Questa borsa qua che troviamo a 830 euro..

Aroldo Guidotti, artigiano: … a me mi danno 24 euro, per l’assemblaggio, la fodera, la tinta.

SG: Per la parte più artigianale che loro esaltano nella pubblicità.

AG: Diciamo che questa borsa è da 31 euro, e viene pagata 24. Per ogni borsa manca il 30% […] L’alternativa era chiudere o rimanere dentro e dimostra’ che c’è questo sistema, e viene attuato anche da Gucci.

[…] All’interno dell’azienda ci deve esse il prestanome italiano, che tiene contatti con azienda, fornitore, clienti.. un paravento.

L’appuntamento con Report su Gucci è per stasera 21 Dicembre 2014 alle 21.45 su Rai 3.

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