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Pubblicità “shock” di Pakkiano con la finta lapidazione: quando la provocazione diventa cattivo gusto (Video)

Il marchio di abiti veneto ha presentato uno spot pubblicitario che è riuscito a far infuriare praticamente tutti, nonostante le buone intenzioni iniziali.

I creativi della pubblicità stavolta l’hanno fatta grossa. Inscenare la finta lapidazione di una donna da parte un gruppo di uomini abbigliati come islamici per promuovere un marchio di vestiti è veramente troppo, troppo anche per chi alle campagne pubblicitarie provocatorie ci è abituato. Troppo persino per chi ha sopportato, pur condannandolo, lo svilimento del corpo messo spesso in atto dai papaveri dell’advertising ai danni della donna, come è capitato di recente col caso della finta gravidanza dello spot Desigual o con la bulimia dei gioielli Schield.

Il marchio di abiti veneto Pakkiano ha scelto di mettere in scena una specie di lapidazione, lanciandolo come un video shock su Youtube. In questa epoca dove il marketing via Internet si basa tutto sui social e sulle frasi ad effetto come “Pazzesco! Shock! Guarda qui”, modi eclatanti per richiamare l’attenzione dell’utente, il video sta facendo lentamente presa: le visualizzazioni sono ancora basse, ma le polemiche sono già cominciate a partire dal titolo del video, un urgente “Salvata da morte certa! Incredibile! Guardate come!” che in molti avrete ritrovato come titolo frequente qua e là sui social.

In realtà era partito tutto con le più nobili intenzioni: nella descrizione del video su Youtube, le dichiarazioni di Stefano Cigana, capo di Pakkiano, lasciano intendere che la provocazione era voluta e serviva propria a sensibilizzare l’opinione pubblica contro la lapidazione.

Come recita il nostro slogan, il nostro vuole essere un messaggio forte e soprattutto dissacrante. Siamo contro la lapidazione e contro ogni forma di violenza, tanto che chi guarda lo spot può capirlo da subito. Abbiamo volutamente cercato di creare una scena dalle forti tinte drammatiche, per suscitare pathos in chi guarda questo spot per la prima volta. […] Con questo spirito abbiamo voluto realizzare uno spot drammatico nello svolgimento, ma volutamente goliardico al termine. Con la chiara intenzione di non offendere e di non prendere di mira nessuna religione né tantomeno nessuna cultura, ma di rimarcare il messaggio di libertà implicita nella nostra linea.

Rileggete bene queste parole: il messaggio voleva essere dissacrante, ma l’obiettivo era suscitare pathos senza prendere di mira nessuno. L’uso del verbo stesso “dissacrare” implica necessariamente una contestazione all’oggetto della dissacrazione, altro che “non offendere nessuno”: basti leggere la definizione del verbo su un qualunque vocabolario, nel nostro caso il Dizionario Treccani.

2. Contestare il carattere tradizionale, sacro, di un’istituzione, di un uso; riportare alla realtà e verità storica ciò che ha assunto valore religioso, o che comunque si riteneva non potesse essere messo in discussione. […] Nell’uso com., il verbo esprime spesso un atteggiamento di generica irriverenza verso idee, opinioni, istituzioni o persone, non necessariamente fondato su una esplicita e razionale contestazione o negazione del loro carattere sacrale.

Posto che la lapidazione potrebbe essere considerata sacra soltanto da alcune frange religiose estremiste, non c’è nulla di dissacrante in questo spot di Pakkiano: è una provocazione di cattivo gusto che sciocca per la sua estrema indelicatezza nei confronti di persone, culture, religioni e generi sessuali. Ce n’è abbastanza per tutti: dalla religione musulmana ridotta all’estremismo più becero, agli uomini instupiditi dalle grazie femminili.

Se l’obiettivo di Pakkiano era quello di “dissacrare”, sono riusciti invece nell’intento di affastellare quanti più luoghi comuni possibili, offendendo praticamente chiunque. Il commento di redazione è stato unanime: ci ha stupito che un’idea del genere sia non solo venuta fuori, ma persino resa pubblica.

Io sono allucinata dall’idea che possa essere stato: pensato, approvato, realizzato, diffuso. Quello che mi sconvolge è che ogni passaggio di quella sequenza prevede iter e momenti diversi.

Ciliegina sulla torta, se ce lo concedete, è la grande opera di “dissacrazione” della donna protagonista dello spot shock di Pakkiano: da vittima apparentemente fragile si libera di un finto burqua per mostrare orgogliosa una maglietta orripilante con su scritto “Sono ancora vergine”, quasi a sottolineare che siccome ha ancora l’imene è una donna vera.

Cosa c’è di dissacrante in tutto questo? È l’esatto contrario, anzi, è la sacralizzazione della verginità, vera o presunta non importa, basta la facciata quale rappresentazione della vera donna: e siamo nel 2014, dopo secoli di lotte femminili per l’emancipazione e quarant’anni di dibattiti per la libertà sessuale delle donne. La donna vera è quella che inganna l’uomo con uno slogan su un maglietta?

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