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Cosa resterà della Milano Moda Donna primavera estate 2015?
Le sfilate della Settimana della Moda di Milano sono ufficialmente terminate: che cosa è rimasto di un’esperienza sempre frenetica e ricca di eventi?
La passione per la moda e la voglia di lavorare per raccontarla al meglio non sono sufficientemente valide per sopravvivere al gigantesco circo dei cinque giorni della Milano Fashion Week nella sua edizione di Settembre: se si parte da questo presupposto si risparmiano sangue amaro, mal di stomaco e nervi a pezzi. Servono tenacia, faccia tosta, pazienza, senso dell’orientamento e soprattutto buoni piedi e buone gambe per resistere, perché la Settimana della Moda di Milano è una gara di decathlon delle più faticose e con le condizioni più avverse che riusciate ad immaginare.
Cosa resterà di questa Milano Moda Donna? Tanti, tantissimi interrogativi e dubbi irrisolti, sollevati in via provocatoria anche dalle colleghe di Chi è Chi: ad esempio il calendario delle sfilate, stravolto fino all’ultimo da cambi di orari, di giorni e segnato dalla sparizione di di alcune passerelle come Luisa Beccaria, Paola Frani e Frankie Morello, sacrificate per motivi che non sono stati resi ufficialmente noti.
Cosa è peggiorato? Il calendario, perbacco. […] Il problema esiste, tutti ne parlano ma nessuno lo risolve. Peccato perché questo è un grande tallone d’Achille del sistema moda italiano costretto a difendersi da attacchi studiati a tavolino per indebolirlo. E si pensi che tutti i grandi della moda internazionale producono in Italia, che tutti sanno come la filiera più straordinaria e gli artigiani più bravi siano qui, che gli abiti più belli li tagliano e li cuciono i nostri sarti. Ma nessuno dei nostri grandi papaveri decide di mettere da parte i suoi interessi per fare quelli del sistema. Questione di bottega, dispettucci, concorrenza, paura….
Gli argomenti sono tanti e non è il caso di aprire qui la questione del made in Italy, che è secondaria. Per restare in tema di passerelle milanesi, il calendario delle sfilate è la vetta di una montagna di problemi che ha minato sin dalla base lo svolgimento di questa Fashion Week. Giorgio Armani che abbandona l’ultimo giorno per non farsi scappare Anna Wintour è l’esempio supremo di questo “inzerbinamento” della moda italiana al resto del mondo: senza voler pigiare sul pedale di vittimismo spinto, tipico di noi italiani in numerose situazioni di coinvolgimento internazionale, è evidente che qualcosa nell’autorità della Camera della Moda Italiana non stia funzionando. Mentre Londra difende le sue eccellenze, New York risplende di coperture mediatiche e Parigi spalma su ben nove giorni i nomi più celebri, Milano soffre e non riesce ad esaltare la bellezza nostrana. Non è colpa degli altri: è una questione di mentalità storica forgiata da secoli di sottomissione alla quale la moda italiana non riesce a sottrarsi, anzi, ne asseconda gli aspetti peggiori.
L’organizzazione delle passerelle è stata illogica e confusionaria, con sballottamenti continui a destra e a manca; senza considerare l’abitudine maledetta e fastidiosissima dei ritardi negli inizi delle sfilate, perché per un motivo o per l’altro c’è sempre qualcuno da aspettare. I ritardi hanno superato molte volte i 35 minuti: fatemelo dire, questo non è elegante né professionale. Non lavora soltanto chi organizza la sfilata, ma anche chi viene a seguirla per un giornale, cartaceo o digitale che sia: è maleducazione e mancanza di rispetto prolungare così tanto i tempi di inizio soltanto per aspettare il vip di turno.
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Ho assistito di persona a fotografi e giornalisti che arrivavano trafelati per riuscire ad accaparrarsi il posto meritato e poi erano costretti a scappare per raggiungere la sfilata successiva in tempo: anche a noi è capitato di dover sudare copiosamente nell’umidità dei primi giorni di sfilate per riuscire ad arrivare in tempo utile, e subire l’anticamera di minuti di attesa mentre i cosiddetti VIP sbaciucchiavano gli uffici stampa (a tal proposito leggete il racconto della sfilata di Ermanno Scervino). Questo è vergognoso e irriguardoso.
Altrettanto ignobile, se ci passate la forza del termine, è il trattamento subito dalla redazione di Fashionblog. Il nostro nome, per quanto accattivante e facile da ricordare, è fuorviante perché molti ci considerano dei semplici blogger, ovvero la massa voluminosa utile ad avere promozione a costo quasi zero: non è così. Fashionblog fa parte di una testata giornalistica registrata quale Blogo: siamo stampa, non fashionblogger nell’accezione più bassa del termine. Noi della redazione non passiamo le giornate a fotografare gli abiti e gli accessori che indossiamo, smarchettare brand in una scala sempre crescente di notorietà e, una volta arrivati all’apice della scala social, trasformare il blog in un “sito di lifestyle” per sbandierare la nostra vita tanto meravigliosa. Quando approdiamo all’ingresso di una sfilata stiamo lavorando per voi e per noi; essere rimbalzati da uno stand all’altro per poi dover fare la voce grossa al fine di ottenere il proprio meritato posto da giornalisti è una piazzata sgradevole che ci risparmieremmo volentieri.
Vorremmo concederci anche una ulteriore, piccola stoccata agli uffici stampa: se ci vedete arrivare in jeans, camicia e scarpe basse, non ci stiamo intrufolando per caso alla sfilata o alla presentazione. Magari siamo alla quinta ora in giro per Milano e l’idea dei tacchi è rimasta a casa: stiamo lavorando e ottimizzando i tempi. Io ci ho provato con i tacchi e la corsa a fine giornata per prendere il treno, dribblando persone a caso in Stazione Centrale, è stata la mazzata conclusiva sulla mia volontà di osare dei look più accomodanti nei confronti degli sbarramenti all’ingresso.
D’altronde anche un abito che condensi la comodità pratica con una qual certa eleganza viene spazzato via dai look improponibili che abbiamo visto in giro: a tal proposito, ci sentiamo di citare nuovamente un pezzo dell’editoriale di Chi è Chi, che riassume perfettamente il nostro pensiero.
Meditate signore e signori delle pubbliche relazioni: il punto d’orgoglio non è preoccuparsi di quattro fanatiche, arroganti grucce infiocchettate che non hanno nulla da fare tutto il giorno, ma vantano il solo merito di indossare abiti regalati, per far parlare blog e social network. Di questo passo, ciò che oggi appare semplicemente urticante, diventerà controproducente. Preoccupatevi di chi alle sfilate viene per lavorare.
Milano Moda Donna street style terzo giorno
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Eccolo qui il capitolo “wannabe“, dedicato proprio a coloro che affollano l’ingresso delle sfilate per farsi fotografare sperando di finire negli articoli di street style. Le esagerazioni che abbiamo visto non ci stupiscono più: ormai si sa, è un copione da rispettare. Lo stile e la classe sono un’altra cosa, così come la personalità espressa attraverso ciò che si indossa: abbiamo amaramente constatato il decesso del buon gusto e della capacità di giudizio del cosiddetto gotha delle sfilate in campo modaiolo, mentre ogni anno aumenta la quantità di botox per i lineamenti e le spalle si ingobbiscono sempre di più. Un corso di postura, per esempio?
Per fortuna non c’è solo il brutto, anzi, qualcosa di bello ha salvato sulla linea di fondo una settimana di moda milanese un po’ troppo sottotono e con tanti difetti. Restano sicuramente alcune sfilate eccellenti, come ad esempio Aigner con i suoi sogni glamour, Laura Biagiotti ricca di colori e Grinko con il suo comfort elegante; restano alcuni uffici stampa dalla gentilezza e puntualità encomiabili, come ad esempio Damiani e quello diBally, in grado di facilitare il lavoro di tutti; resta la bellezza di una Milano affollata a qualunque ora del giorno e della notte, capace di lottare ancora per dimostrare la sua natura fashion alle capitali della moda nel mondo.
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Cosa resterà di questa Milano Moda Donna? La voglia di far capire agli alti papaveri organizzativi che non bisognerebbe ispirarsi a Calimero per risollevare le sorti della moda italiana. Invece di farsi asfaltare da giornate distruttive con una sfilata dietro l’altra a ritmo serrato, basterebbe reclamare più tempo e soprattutto diluire i nomi più importanti con un massimo di due, tre al giorno, oltre a dare spazio sufficiente ai designer emergenti che meriterebbero notevole visibilità. C’è ancora tanto lavoro da fare per dare nuovo lustro alla settimana della moda milanese: si potrebbe iniziare col dimenticare i fasti del passato e costruire qualcosa di nuovo.