Abbigliamento
Burberry brucia gli stock di articoli invenduti: nell’inceneritore finiscono 31 milioni di euro
Il triste andazzo delle case di moda di lusso? Bruciare gli stock di articoli invenduti. Per Burberry la cifra finita nell’inceneritore sarebbe di 31 milioni di euro
La pratica pare sia piuttosto diffusa per le case di moda di lusso che, piuttosto che svendere i propri articoli rimasti giacenti nei negozi, cosa che farebbe calare l’unicità del marchio, preferirebbero portare all’inceneritore montagne di abbigliamento e accessori, facendo sparire tutto in un’orrenda pira di sprechi.
Nel mirino al momento c’è Burberry, la storica azienda britannica che dal 2017 è capitanata da un CEO italiano, Marco Gobbetti. In un’ottica di “minimizzazione dello stock in eccesso”, come si legge dai libri contabili, il brand avrebbe letteralmente bruciato 28 milioni di sterline, circa 31 milioni di euro di articoli invenduti, facendo urlare allo scandalo in maniera trasversale, a partire dalle associazioni ambientaliste fino all’opinione pubblica.
Negli ultimi 5 anni la cifra dietro ad impermeabili, sciarpe, abbigliamento vario, scarpe e accessori targati Burberry, sottoposti alla “minimizzazione”, ammonterebbe a 100 milioni di euro. Un decimo di miliardo che la maison di lusso ha preferito annichilire nel fuoco, piuttosto che trasformare in guadagno più basso.
Perché? Presto detto. È uso delle grandi griffe mantenere fulgida la propria immagine, che include lucidare senza sosta quell’aura di esclusività, importante per chi vende quanto per chi compra/indossa. Se gli stock invenduti fossero girati in massa agli outlet o finissero nel cosiddetto “mercato grigio”, i canali di vendita non autorizzati, i prezzi calerebbero troppo e gli acquisti più di massa offuscherebbero l’esclusività di cui si parlava prima.
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Piuttosto che rischiare che questo accada, le maison come Burberry preferiscono rimetterci in termini di vendite piuttosto che di immagine. Questo atteggiamento però sta giustamente innescando polemiche, quelle di chi vede uno spreco di denaro e risorse (un sonoro calcio alla povertà) e quelle di chi nota anche l’aspetto dell’inquinamento. Perché diciamo la verità, per arrivare a 31 milioni, di roba da bruciare ce n’é in abbondanza.
Su questo punto però Burberry ha voluto fare una precisazione, dicendo che i processi di distruzione dei propri capi firmati sono sempre avvenuti nel rispetto dell’ambiente, affidandosi a società specializzate che convertono la combustione in energia. Le pelli scartate dal 2017 sarebbero poi donate ad Elvis&Kresse, che si occupa del riciclo dei materiali dell’industria della moda, per dare loro nuova vita e aspetto.
Magra consolazione, anzi, magre consolazioni. Perché 31 milioni sono sempre 31 milioni e proprio facciamo fatica a deglutire il fatto che non si sia trovato un metodo alternativo per salvare, anziché distruggere. Va bene l’attenzione al lusso, ma anche quella all’etica non farebbe male ogni tanto.
Via | Repubblica